OTTOBRE, MESE MISSIONARIO

“Missão na Ecologia” (Missione e Ecologia)



È il tema che quest’anno la Chiesa che è in Brasile ha scelto per vivere e celebrare il mese missionario di ottobre. Vorrei tentare di fare un po’ di ecologia della missione, presentando l’altra faccia della missione. Si fa presto a dire missionario! Ma cosa si intende per “missione” e “missionario” ? Cosa in realtà è la missione? E cosa fa il missionario?
C’è una difficoltà nella comunicazione tra missionario e comunità di origine, amici, conoscenti, parrocchie e gruppi: da parte del missionario c´è la voglia e necessità di raccontare, compiendo così una parte della sua missione che è lo scambio; dall’altra ci sono attese di curiosità, preconcetti, sensibilità diverse. Nel mezzo ci sono le persone che vivono nella missione e che non possono essere trattati come oggetti di analisi o cavie di esperimenti sociologici o pastorali. Nel mezzo ci sono anche situazioni oggettive di povertà, ingiustizia, guerra, ignoranza, caratteri e emotività, che spesso hanno la loro causa negli egoismi del primo mondo.
Uno dei criteri che mi metto sempre di fronte quando scrivo una lettera è questo: e se questa lettera la leggesse un emigrato brasiliano o africano o asiatico o dell’est Europa che ora vive in Italia, che cosa direbbe?
Molto importante per capire una realtà diversa dalla nostra è il fattore climatico. Non si può giudicare il ritmo lavorativo comparandolo con i nostri ambienti italiani fatti di stagioni, di sollecitazioni climatiche che creano atteggiamenti e mentalità: è diverso se la frutta viene tutto l’anno o se bisogna accantonare per quando non c’è; è diverso pensare alla nudità come mancanza di vestiti (e magari inviare vestiti di lana) o alla nudità per il caldo. È diverso percorrere una strada con i finestrini chiusi e l’aria condizionata o camminare in mezzo alle immondizie che ci sono sparpagliate per la strada con tutti i loro odori. Per capire una realtà bisogna in qualche modo esserci dentro.
Un altro fattore è quello storico: è molto importante studiare la storia del paese dove ci si inserisce. Il Brasile è figlio di un’epoca coloniale, di una schiavitù economica e sociale che ancora praticamente perdura in abitudini e gesti (qui noi bianchi veniamo chiamati “padroni” o “signori”). Ci sono figure storiche, soprattutto “patrioti” che hanno lottato per l’indipendenza o la dignità di questi popoli, che hanno lasciato nel cuore delle popolazioni, a volte solo a livello inconscio, mentalità e modi di fare, e non tutti erano santi.
Un altro fattore è quello dell’urbanizzazione, molto più evidente qui dove vivo in periferia di una grande città. È un fenomeno tipico di questi ultimi 50 anni nel mondo, ma che nelle nostre città italiane è stato accompagnato da “ammortizzatori sociali”. Qui invece e in molte zone del sud del mondo il trasferimento verso la città, mostrata come “paradiso” ha significato per molte famiglie disastri economici, affettivi, insieme naturalmente, per molti, a nuove opportunità. Porto solo un esempio: in molte famiglie che abitano qui in periferia ci sono figli di parenti che abitano nell’interno, perché qui hanno migliori opportunità scolastiche e di lavoro. Ma tutto questo crea squilibri e problemi nel campo dell’educazione con sostituzioni di ruoli (zii che diventano genitori e genitori che praticamente non trovano più il proprio ruolo) .
Un altro fattore è quello della storia religiosa. Davanti a una profonda religiosità, che a noi europei figli del razionalismo, suona come “superstizione” o “istintività” è importante riconoscere alcuni fattori storici: la religione imposta dal colonizzatore, la poca possibilità di accompagnare da parte di preti o catechisti qualificati, la poca rilevanza data alle “giovani chiese” in quello che hanno di bello e genuino. La Chiesa per molti aspetti sembra non aver ancora preso coscienza della necessità di uno stile missionario (meno abitudinario e più dinamico, meno formale e più concreto, non centralizzato sul prete ma con una chiesa tutta ministeriale) che il Sinodo di Verona ha cercato di risvegliare.
Un altro fattore è quello economico. I missionari sono di solito inviati in zone dove c´è molta povertà economica. E quello che balza agli occhi del missionario che arriva è proprio questa povertà. Le nostre crisi economiche, pur tragiche per molte persone, in fondo sono sempre poca cosa per chi vive quotidianamente in situazione di rischio per mancanza di cibo, poca sicurezza pubblica, inadeguate strutture sanitarie e educative. Eppure, almeno qui da noi si respira un’aria da boom economico. Il nostro vicino che 2 anni fa aveva una casa di fango ora ha una casa meglio della nostra. Gli amici dei missionari mandano volentieri aiuti economici soprattutto se rimangono impressionati da fotografie di bambini senza vestiti che piangono o ridono davanti a un pezzo di pane o a una caramella. Fare il babbo natale della situazione è gratificante. Ma è giusto? Che mentalità crea in chi dona e in chi riceve? Una frustrazione che a volte accompagna il missionario: l’impressione di essere sfruttato economicamente proprio dalle persone che sono state più aiutate. Altra difficoltà: come spiegare che molte spese sono “funzionali e indirette” (come la macchina che qui con strade non asfaltate e piene di buche ha bisogno di continue riparazioni o come la formazione che non ha risultati immediati ma che crea le condizioni per cambiamenti più duraturi,…)? Qui a São Luis stiamo cercando una modalità diversa di “fare carità” anche attraverso la fondazione JPA (“Giustizia e Pace si Abbracceranno”) che abbiamo creato per avere uno strumento legalmente riconosciuto e trasparente che possa gestire in forma autonoma i diversi progetti sociali. Ma quanta fatica! Che fatica educare alla legalità! Che fatica trovare un negozio che faccia la nota fiscale come richiede la Fondazione!
Un altro fattore è quello delle “droghe”: dall’alcoolismo diffuso, alle droghe leggere che si stanno diffondendo in modo preoccupante. Nel nostro quartiere praticamente ogni via ha il proprio angolo di spaccio. Le lotte tra gang per il controllo del mercato sono sanguinose e feroci. Anche alcuni modi di vivere la religiosità molte volte sembrano una vera dipendenza. Eppure ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera (perché qui le scuole funzionano a turni) ci sono giovani che vanno a scuola, che frequentano gruppi folcloristici di danza, che praticano sport, che si impegnano nei gruppi parrocchiali e sociali: insomma che provano a costruire una società diversa.
Un altro fattore è lo stile di vita del missionario: da un lato c´è la necessità di un’abitazione confortevole, di igiene, di possibilità di trasporto per poter aiutare stando bene fisicamente e poter raggiungere il maggior numero di persone in poco tempo; dall’altra c’è la “vergogna” di entrare in case dove non hanno da offrirti neanche una sedia per sederti.
Un ultimo fattore che sottolineo, in mezzo certamente a molti altri, sono le forti contraddizioni che qui appaiono molto evidenti per noi: entrare in una casa di fango e incontrare la tv e il dvd; avere pochi soldi e spenderli tutti per alcolici, vestiti o feste; la convivenza fianco a fianco tra il super ricco e il super povero; Ma sarebbe altrettanto interessante chiedere agli immigrati in Italia un’analisi seria delle contraddizioni di noi italiani.
Per questo è difficile comunicare una realtà che appare lontana da un nostro modo di vedere le cose. Ma abitando qui, convivendo con il vicino che accende lo stereo a tutto volume dalle 7 della sera fino alle 7 del mattino, condividendo i passi e le fatiche delle famiglie, si percepisce che i sorrisi sono reali e che le lacrime sono altrettanto reali; che le ingiustizie, gli egoismi, ma anche i gesti di generosità e di amore vero accadono qui come in Italia. Che le 18 morti nel carcere della città ci sono state per davvero. Che gli assalti e le violenze accadono continuamente seminando un clima di paura. Ma anche che le persone si rialzano ogni mattina e ricominciano a sperare, a giocare, a lavorare, a danzare, a pregare, a vivere. Essere missionario è tutto questo: non è più necessario tenere la barba lunga perché oggi in molti luoghi di missione c’è la possibilità di prendersi cura del proprio aspetto. Non mancano le avventure: incontri con coccodrilli e serpenti sono rari, ma ci sono. Ma le avventure più pesanti sono quelle delle situazioni umane delle famiglie. Eppure, nonostante tutto quello che gli capita, queste persone sanno vivere nella gioia e nella speranza che nasce dalla fede anche le situazioni difficili. Riconoscere la presenza di Dio non è molto difficile. Egli è il missionario che è arrivato prima di noi. È il profumo di Dio sparso nei fiori dei fatti della vita che dà senso ad ogni cosa. Dio ha sempre molto da annunciarci attraverso gli occhi di speranza viva di tante persone. La missione è certo un’operazione di ecologia naturale che è sempre indispensabile: educare alla consapevolezza dei diritti umani fondamentali: vita, salute, educazione, giustizia, libertà,… Missione è però soprattutto esperienza di ecologia teologica: in fondo essere missionari è lavorare nel giardino del Signore insieme a Lui e a tante altre persone, respirare a pieni polmoni quell’ossigeno di vita nuova che la Sua presenza lascia nei nostri cuori e lasciarsi meravigliare dalla bellezza impensabile di questo luogo che ogni giorno insieme a qualche spina ci offre tantissimi fiori.
Un felice mese missionario!
Claudio Vallicella, prete fidei donum.




Salutissimi anche da don Daniele, don Orazio, Francesca, Damiano e Isacco, Carolina, Maria




e la Parrocchia della Santissima Trinità in São Luis- Brasile.